Neuroni specchio: speranza ed empatia per tutti!
- giuseppe quartieri

- 24 set
- Tempo di lettura: 2 min

Era il 2019 quando l'OMS ha ufficialmente riconosciuto che l'arte sostiene la salute in diversi modi, tra cui: alleviare i sintomi psicologici causati da traumi o abusi, alleviare le persone con dolori acuti, sostenere le persone che soffrono di disturbi neurologici e altre patologie. Molti si stupiscono, altri no.
Alain de Botton e John Armstrong lo hanno detto ancora prima nel 2016 nel libro "L'arte come terapia" in cui era inoltre abbozzato un aspetto molto sensibile e suggestivo (e non per questo falso): l'arte (praticata e/o fruttata) "dà speranza".
Quando i pittori, o gli artisti in genere, ci mostrano un mondo migliore del mondo reale, non lo fanno perché i loro occhi non sono capaci di coglierne le imperfezioni, ma lo fanno per farci sentire "immediatamente soddisfatti e acquisire una visione apertamente ottimista della vita e del mondo".
Oltre all'attivazione della speranza, che è sempre molto piacevole e utile per noi stessi e per la società, tra la persona e l'opera o la performance, si innesca un vero processo empatico che si estende a molti altri aspetti psicologici. Più si osserva la manifestazione artistica, più il nostro cervello tenderà a tradurre i suoi contenuti in stimoli emozionali e sensoriali. Questo spiega perché, ad esempio, osservando per un certo tempo un dipinto di un deserto, si può arrivare a sentire il calore sulla pelle.
Questa è la cosiddetta "identificazione" causata dai ormai noti (ma non ancora sufficientemente considerati) "neuroni specchio", i neuroni dell'empatia.

Vittorio Gallese è stato il primo a studiarli definendone il funzionamento come una sintonizzazione profonda (attivazione di certi circuiti neuronali) che ci fa provare le stesse sensazioni ed emozioni che vive un'altra persona. Secondo Gallese, poi altri dopo di lui, lo stesso meccanismo si attiverebbe ogni volta che ci troviamo davanti a un oggetto artistico, o ad un'altra opera espressiva, che tocca in qualche modo "le corde" giuste della nostra interiorità inconscia.
Per riassumere, l'arte, fatta o usata, sostiene la salute, aiuta a prevenire e curare le malattie e scatena fattori umani come speranza ed empatia. Non male.
Penso che l'arte sia spesso collocata nello stesso posto dello sport, e in generale le cose che fanno bene naturalmente. Cose affittate, a volte premiate, fotografate, pubblicate, inserite in classifiche, in progetti che finiscono dalla televisione alla cantina.
Quelle cose che, una su un milione, portano al successo, e tutto intorno tace.
Ma non è tanto la rarità delle scene e dei piedistalli che fa male all'arte, e quindi all'uomo, ma il fatto che la sua essenza, l'estrema funzione vitale per gli esseri umani, si disperde.
Ma nonostante la mancanza di considerazione, le persone continuano a fare dell'arte, anche in questa penombra che un sistema sempre più mercificato concede, perché questo è forse il momento in cui c'è più bisogno.
Speranza ed empatia? Sì, grazie.
Miriam Fusconi









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